A poco meno di un’ora di distanza da Verona, nella zona fluviale del Parco Regionale del Mincio, si trova una gigantesca distesa di fiori di loto. E non sono certo piante autoctone.
A portarle qui nel 1921 è stata una studentessa dell’università di Parma, Maria Pellegreffi, che ottenne alcuni rizomi da missionari provenienti dalla Cina. Un esperimento riuscito, perché i fiori attecchirono benissimo nell’habitat locale, talmente bene che dalla città di Mantova si sono estesi per otto chilometri lungo la vasta area fluviale delle valli del Mincio.
Non pochi i problemi che questa presenza aliena sta causando nell’equilibrio del locale ecosistema, benché sia ormai un fattore di grande richiamo per i visitatori.
Per la nuova edizione di Fleurs! La vita alchemica dei fiori avevo deciso di proporre un workshop sul Fior di Loto. Mi mancava però un tassello fondamentale: l’esperienza diretta. Siccome fare un giretto in Vietnam o in Thailandia non mi era possibile in questo momento, ho trovato l’oriente dietro l’angolo di casa. Ho atteso la fine dell’estate per poter fare un’escursione insieme alla mia bimba senza farle soffrire troppo il caldo. I fiori di loto ci sono ancora, anche se nel pomeriggio, verso le 16.30 quando iniziamo la nostra gita, sono quasi in procinto di chiudere i petali.
Spesso il loto viene confuso con alcune specie di ninfea che si aprono di notte e si richiudono di giorno. Invece il genere Nelumbo, composto da due sole specie, la nucifera e la lutea, è una pianta eliofila. I suoi fiori si aprono ai primi raggi del sole e si richiudono alla sera. Salutano il nuovo giorno e per questa ragione, oltre che per la loro natura acquatica, sono presenti in molte leggende sull’origine del mondo.
Il punto di partenza della mia escursione si trova nel porticciolo di Grazie di Curtatone, dove i Barcaioli del Mincio accompagnano turisti e scolaresche lungo gli itinerari fluviali su barche a motore.
Il luogo si trova proprio ai piedi di un magnifico santuario che sorge su un antico luogo di devozione dei pescatori verso la Madonna dispensatrice di grazie.
Come molte persone arrivate fin qui da chissà dove, anch’io mi sporgo subito dalla barca per ammirare i fiori di loto e fotografare tutti quelli che mi capitano a tiro. Spero di potermi avvicinare abbastanza per annusarli, cosa che sarebbe difficilissima dalla riva.
Lungo il percorso, però, mentre seguo le interessanti spiegazioni della guida, la fissazione sul loto si sfoca leggermente, per far posto alla bellezza nascosta di questi luoghi. Sento parlare di piante di cui neppure sapevo l’esistenza, come il nannufero, la piccola ninfea gialla che fa capolino dall’acqua. La ninfea, in particolare quella bianca, è particolarmente cara alla città di Mantova di cui è diventata anche un emblema, ma oggi fatica a crescere proprio per la presenza invadente del loto.
Dalla barca scorgiamo gli ultimi fiori rosati dell’ibisco palustre e le distese di canneti che un tempo erano una risorsa preziosa per l’economia, offrendo materiale per produrre ceste, botti per i vini, tende veneziane, e altro ancora. Tra gli alberi, oltre ai salici anche gli ontani, grandi alleati dell’ambiente per la loro capacità di assorbire quintali di anidride carbonica e inquinanti gassosi.
Ma eccoci finalmente alle brughiere di loto. Viene proprio da chiamarle così queste enormi distese di fiori e foglie che pare conservino quel tipico gigantismo delle forme di vita primordiali. La flora autoctona a confronto, sembra un delicato ricamo all’uncinetto.
Quando arriviamo all’imboccatura di un lago, il nostro barcaiolo fa una netta virata e ci porta proprio nel mezzo del fogliame. È arrivato il mio momento! Lui lo sa, e mi porge gentilmente un fiore da annusare.
Ci starei volentieri un’oretta a studiarlo, ma devo carpire tutto ciò che mi serve nel più breve tempo possibile. L’odore è medicinale, leggermente anisato, con sfumature lattonico-fruttate. L’ora tarda del giorno non è delle migliori per sentire le note più fresche ed erbacee del fiore. Chissà poi se l’habitat in cui cresce, diverso da quello asiatico, non modifichi anche il suo profilo olfattivo.
Sicuramente non è un profumo diffusivo quello del loto. Bisogna avvicinarsi, aprire i petali, tuffare il naso tra gli stami, per sentirne l’odore che solo allora diventa avvolgente e totalizzante. Ma è tutt’altro che inebriante come spesso di scrive. Con le sue note pungenti, speziate, canforace e soffusamente dolci, non offusca i sensi ma li risveglia.
Nella tradizione buddista dell’India, della Cina e del Giappone, il fior di loto è il simbolo dell’illuminazione e della liberazione dalla sofferenza nella condizione terrena. La stessa posizione di meditazione, caposaldo della cultura spirituale in oriente, è detta “posizione del loto” (padmasana) e già prima dell’invasione degli Arii in India (II millennio a.C.), le statuette delle divinità erano sedute in questo modo. Nella cultura dravidica pre-aria, di impronta matriarcale, la dea creatrice dell’universo Pundarika era associata al fior di loto.
In seguito l’induismo ne fece la moglie di Visnù, dal cui ombelico il fiore di loto nacque all’inizio dei tempi. La dea divenne così Lakshmi.
Curiosamente proprio qui, dove sorge un santuario dedicato alla Madonna, nel cui culto riecheggia la devozione verso antiche divinità femminee (non me ne abbia il prete che ha regalato un rosario a Olimpia), vicino all’acqua che conserva una memoria primordiale, la spiritualità occidentale e quella orientale si incontrano. Se noi sgraniamo il rosario, che ci parla ancora della rosa cara a Venere, in oriente si sgrana un mala di semi di loto. Il loto è per l’oriente ciò che la rosa è per l’occidente?
Volteggiando sul pelo dell’acqua, arrivano ora le bellissime libellule blu a quattro ali. Creature fatate che appaiono e scompaiono in un battito di ciglia. Le guardiamo a lungo Olimpia e io, mentre la barca si avvicina nuovamente al porto.
Se volete approfondire la conoscenza del Fior di Loto, la sua storia e simbologia, le note odorose che lo contraddistinguono, il suo uso in profumeria e le interpretazioni che ne hanno dato i creatori di fragranze, vi invito a prendere parte a Fleurs! La vita alchemica dei fiori. Ogni sessione prevede una parte narrativa e una pratica dove sentiremo materie prime e fragranze. Vi aspetto!
Se volete portare questi workshop in altri contesti e città potete contattarmi e presentare la vostra proposta.